Leggere libri è il gioco più bello che l’umanità abbia inventato.
(Wisława Szymborska)
Un libro sogna. Il libro è l’unico oggetto inanimato che possa avere sogni
(Ennio Flaiano)
Leggere è andare incontro a qualcosa che sta per essere e ancora nessuno sa cosa sarà.
(Italo Calvino)
Non tutti amano leggere, questo è un dato di fatto. Siamo il paese con la percentuale di lettori tra le più basse d’Europa e i livelli di comprensione di un testo scritto si abbassano sempre di più. Quali siano le cause di questo disamore non credo sia questa la sede per parlarne; se ne discute da tempo a tutti i livelli, tirando in mezzo l’egemonia dei mezzi tecnologici e dei social che si sono affiancati alla televisione, fino ad alcuni anni fa, unica colpevole di questo allontanamento dalla pagina scritta.
Sono indagini sociologiche che non mi competono e che mi interessano fino a un certo punto (su questo e altro vi rimando all’articolo “La lettura è una forma di resistenza” di Marino Sinibaldi, uscito il 23 aprile 2021 sulla rivista Internazionale).
A me interessa più che altro la realtà che ho vissuto e che vivo ancora: la scuola.
Quanto si fa per la lettura nella scuola? Quanto la scuola cerca di correre in soccorso alle famiglie in cui la lettura, salvo situazioni virtuose, vuoi per condizioni socio economiche e culturali non favorevoli, vuoi per disinteresse, non gode ottima salute?
Come mai la lettura come piacere fine a sé stesso, libero dal tributo di riassunti ed esercizi di comprensione da pagare, stenta a diventare pratica diffusa? Eppure se ci pensiamo, nelle tre frasi d’autore che ho citato prima, ci sono i tre elementi che più fanno parte dell’essere bambini e non solo bambini: il gioco, il sogno, la sorpresa (e ci aggiungerei anche la meraviglia). Se questo è vero, dovrebbe quindi essere tutto sommato abbastanza semplice costruire il legame tra bambini e ragazzi con i libri.
Basta proporglieli, basta darglieli il più possibile tra le mani, basta leggerglieli; con regolarità e non in modo occasionale. E laddove questo accade, perché per fortuna in molti casi accade, il processo di crescita di potenziali lettori è avviato. Sto pensando principalmente alla scuola primaria e alla scuola dell’infanzia, i due segmenti scolastici che conosco meglio, anche se sono convinta che la seduzione e l’innamoramento che scatta tra libri e lettori valga anche per gli altri ordini di scuola.
Senza voler sollevare polemiche, bisogna amaramente riconoscere che è ancora troppo poco lo spazio dedicato in classe al piacere di leggere e ascoltare; troppo ancora si considera la lettura, quando non è finalizzata all’apprendimento, un’attività slegata dal programma e dai contenuti, quindi in fondo ricreativa, per la quale “manca il tempo”; va certamente riconosciuto l’impegno notevole di tanti insegnanti per realizzare progetti-lettura e attivarsi anche in classe con la creazione di angoli lettura. e piccole biblioteche; così come non va dimenticata la grave disattenzione riservata alla scuola in tutti questi anni da chi ci governa e quindi l’assenza di investimenti in
ogni direzione. Ma mi sento di affermare per esperienza che la lettura come piacere di leggere e nient’altro, a scuola abbia un ruolo ancora troppo marginale. Tutto lo sforzo che si fa per guidare i bambini verso la conquista della strumentalità di base, sembra esaurirsi nel momento in cui questo traguardo è raggiunto. Da quel momento in poi ai bambini si propongono letture da ripetere più volte, sempre le stesse, che i libri di testo presentano. Sempre più ricche di esercitazioni e suggerimenti di attività, ma totalmente prive dell’aspetto edonistico della lettura, di quell’esperienza che è l’essere sedotti da una storia e dal libro, oggetto materiale, che la contiene. Non generalizzo, so bene che ci sono realtà totalmente differenti, in cui la lettura viene declinata in varie forme, a partire dalla lettura ad alta voce che sempre, e sottolineo sempre per dire quotidianamente, deve essere garantita ai bambini ma anche ai ragazzi. So anche che ci sono insegnanti che acquistano personalmente libri da mettere a disposizione degli alunni, perché pian piano si costruisca un’abitudine al leggere e al sentir leggere, abitudine che poi diventa bisogno. Ma non siamo ancora alla pratica diffusa.
Aidan Chambers, nel suo libro Il lettore infinito, a proposito della lettura ad alta voce si esprime così:
Leggere ad alta voce ai bambini è fondamentale per aiutarli a diventare lettori. Ed è un errore pensare che sia necessario farlo solo nelle fasi iniziali, cioè in quel periodo che definiamo “apprendimento della lettura”. In realtà la lettura ad alta voce ha un tale valore, e l’apprendimento della lettura è un processo talmente lungo e complesso che è necessario leggere ad alta voce lungo tutto il percorso scolastico. Teoricamente ogni bambino e ogni ragazzo dovrebbe avere la possibilità di ascoltare ogni giorno un brano di letteratura letto dai propri insegnanti o da altri educatori. E ogni insegnante competente dovrebbe garantire questa opportunità ai bambini e ai ragazzi di cui è responsabile.
Il suo discorso prosegue chiarendo come gli sviluppi recenti nel campo delle neuroscienze abbiano messo in luce ciò che accade nel nostro cervello mentre leggiamo o ascoltiamo leggere. Lo dice bene anche Antonio Ferrara nel suo ultimo libro Leggero leggerò, guida impertinente alla lettura e all’amore per i libri, una specie di prontuario molto agile e godibile sui libri e la lettura:
Leggendo la parola basilico ne ricordiamo immediatamente l’odore, nel nostro cervello si attivano le stesse aree che si attiverebbero nel caso avessimo davvero una foglia di basilico sotto il naso. Eh sì, leggere significa evocare, verbo dal significato illuminante. Vuol dire “chiamare fuori”, ma anche “chiamare fuori dal buio, chiamare dal regno oltremondano le anime e gli spiriti”. Resuscitare il significato delle parole.
Quanto poi la lettura, autonoma o ascoltata, giovi sotto l’aspetto cognitivo, linguistico e di organizzazione del pensiero, credo sia superfluo sottolinearlo. Ma c’è un altro aspetto che viene trascurato: la lettura condivisa che diventa educazione sentimentale. Ne parla ancora Ferrara nel libro già citato:
È anche e soprattutto questo, la lettura: una forma speciale, forse unica, di educazione sentimentale. Leggere è perfino una più o meno consapevole attività solidale, di costruzione di una comunità, un modo straordinario per prendere su di sé almeno una briciola, una scheggia di quella pietra che tanti portano sul cuore.
Ma se ancora vi fossero dei dubbi e avessimo bisogno del crisma dell’ufficialità, del valore della lettura parlano in più punti le “Indicazioni Nazionali per il curricolo”, a tutt’oggi il documento programmatico in vigore per tutta la scuola del primo ciclo. Cito come esempio:
Ruolo primario assume il leggere per soddisfare il piacere estetico dell’incontro con il testo letterario e il gusto intellettuale della ricerca di risposte a domande di senso. La lettura connessa con lo studio e l’apprendimento e la lettura più spontanea legata ad aspetti estetici o emotivi, vanno parimenti praticate in quanto rispondono a bisogni presenti nella persona.
E ancora: La consuetudine con i libri pone le basi per una pratica di lettura come attività autonoma e personale che duri per tutta la vita. Per questo occorre assicurare le condizioni (biblioteche scolastiche, accesso ai libri, itinerari di ricerca, ecc.) da cui sorgono bisogni e gusto di esplorazione dei testi scritti.
Questo accenno alle biblioteche scolastiche mi permette di parlarvi un po’ della mia esperienza in fatto di lettura.
La mia carriera di maestra si è svolta per metà nella scuola dell’infanzia e per metà nella scuola primaria. In entrambi gli ordini di scuola la lettura ha avuto un ruolo preminente nel percorso scolastico dei bambini. Con i piccoli ho sempre organizzato nella sezione un angolo lettura con cuscini, e invece di uno scaffale (gli arredi nella scuola scarseggiano e inoltre occupano molta parte dello spazio sempre insufficiente delle aule), avevo un pannello di tessuto rosso con tasconi per ospitare i libri, ognuno col simbolo cucito su, che indicava l’argomento. I bambini erano naturalmente liberi di utilizzare questo come anche gli altri angoli dell’aula, in base ai loro bisogni, salvo quando l’attività di lettura era strutturata e quindi guidata dalla maestra.
Ma l’appetito vien mangiando e col passare degli anni tutte noi maestre di quel plesso abbiamo rivoluzionato gli spazi scolastici (complice un viaggio di due di noi a Reggio Emilia, organizzato solo per vedere da vicino una realtà che è sempre stata di eccellenza, pensate il livello di motivazione), recuperando piccoli ambienti adibiti a deposito, per allestire piccoli laboratori; una stanza che in origine doveva essere un bagno, ben fornita di tanti piccoli water ma mai utilizzati perché non funzionanti, è stata attrezzata, a nostre spese, con ciò che serviva per farne una biblioteca: panche di legno grezzo fatte realizzare con la doppia funzione di seduta e di “occultamento” dei water, poi ricoperte di cuscini rossi, poster alle pareti per camuffare le mattonelle verde pallido che mettevano tristezza, mensole di vecchi armadi recuperate e riportate in vita e libri. All’epoca non conoscevo gli albi illustrati e nemmeno ne circolavano tanti, ma comunque la mia attenzione e quella delle colleghe è stata sempre rivolta a fare scelte di letture di qualità, per quello che il mercato offriva e che le nostre competenze ci consentivano.
Per esempio non mancavano i libri con i racconti e le filastrocche di Rodari e anche le fiabe classiche, così come ricordo perfettamente tra i libri due albi, Kirikù e la strega Karabà di Michel Ocelot e Il pupazzo di neve di Raymond Briggs, un silent book ormai ritenuto un classico. Insomma, la voglia di fare e l’entusiasmo alle volte compiono miracoli.
Questo spazio è stato poi aperto anche alla scuola elementare del nostro stesso circolo ed è servito molto per realizzare progetti-lettura in continuità. Quando sono passata alla scuola primaria ho cercato, nel limite del possibile, di far fruttare la mia esperienza; era troppo evidente quanto l’attenzione e il tempo destinati alla lettura producessero nei bambini, ne avevo le prove!
Ma nella primaria, si sa, non c’è lo stesso margine di autonomia nel gestire spazi e tempi e non nascondo all’inizio di averne sofferto, mi sentivo in qualche modo in gabbia. Io però non mi sono scoraggiata e ho tenacemente continuato ad escogitare espedienti per tessere fili tra i bambini e la lettura, partendo dal rendere l’apprendimento della letto-scrittura, di per sé faticoso, il più possibile divertente. Ho cominciato facendo ricorso in molti casi al gioco, la dimensione che più annulla le distanze tra noi adulti e i bambini. Man mano che i bambini imparavano a leggere secondo il metodo descritto in un precedente articolo (cfr. Di scrittura, segni e alfabeti), durante le esercitazioni in classe di lettura e scrittura, giravo tra i banchi con in mano un diavoletto di peluche tutto rosso, invitando i bambini a stare attenti perché lui era dispettoso e se si fermava sul banco di qualcuno, era perché lo stava facendo sbagliare; bisognava quindi subito correggersi per mandarlo via. Questo trucchetto stimolava i bambini a prestare attenzione nel leggere e scrivere e ad autocorreggersi. Quando leggevo una storia, per stimolarli all’ascolto, tenevo sulla cattedra una scatoletta che avevo comprato ad una mostra di artigianato orientale, al cui interno c’erano due simpatiche ranocchie che si dondolavano su foglie di ninfea; quando aprivo la scatoletta in un posto luminoso, ad esempio vicino alla finestra, le ranocchie emettevano il loro verso che per la verità sembrava più il cri-cri dei grilli. Quando invece c’era poca luce, aprendo la scatola le ranocchie non cantavano. Non ho mai saputo come mai questo accadesse, ma io l’ho sfruttato per indurre i bambini all’ascolto. E così dicevo loro che al termine della lettura, il loro livello di attenzione lo avrebbero determinato le ranocchie: se i bambini avevano ascoltato con attenzione, le ranocchie avrebbero cantato, in caso contrario sarebbero state mute. Naturalmente io aprivo la scatoletta alla luce o in penombra, a seconda della situazione, quindi potete ben immaginare in un caso o nell’altro, le grida di giubilo o le facce deluse dei bambini. Quando le ranocchie non avevano cantato bisognava rimediare e quindi rileggevo la storia ottenendo così molta più attenzione. Solo in quinta ho poi svelato il trucco della scatoletta, tra le risate generali. Mi diverte e mi incanta la capacità dei piccoli di stupirsi con poco, e giocare e ridere insieme sono ingredienti importanti per stare bene a scuola.
Dopo i primi mesi di scuola in classe 1^, quando cioè verificavo sensibili progressi nella lettura, per invogliare i bambini a leggere, mi sono inventata (e questa cosa l’ho ripetuta tutte le volte in prima perché funzionava benissimo) una sorta di cerimonia di investitura de “Il re e la regina dei lettori”; sorteggiavo una volta a settimana una coppia di bambini a cui assegnavo un racconto diviso in due parti da leggere a tutta la classe, maestra compresa. Naturalmente sceglievo racconti, fiabe o favole, non troppo lunghi, scritti tutti in stampatello maiuscolo con un carattere molto leggibile, che i due lettori preparavano con grande impegno. Il giorno definito, le due sedie delle maestre venivano ricoperte di drappi colorati ed eleganti e diventavano i troni, e ai bambini facevo indossare due ricchi mantelli e due meravigliose corone che mi ero procurata. Foto di rito e si partiva con la lettura.
Provate a immaginare l’orgoglio di sentirsi protagonisti e l’emozione di leggere di fronte a tutta la classe e alla maestra, che opportunamente si andava a sedere al banco come tutti, per ascoltare. Alla fine scattava l’applauso e ai due lettori consegnavo una medaglia da portarsi a casa e da tenere in custodia per l’intera giornata. Questo stratagemma si è sempre rivelato uno stimolo potentissimo alla lettura e il risultato era un utile esercizio che però non li annoiava e invece li responsabilizzava e contribuiva a renderli più sicuri nel leggere.
Verso la fine della prima, ma ancora di più in seconda e così via fino alla quinta, organizzavo in classe una biblioteca; avevo comprato a mie spese due scaffali e iniziato a riempirli di libri miei insieme a quelli che i bambini mi portavano da casa, accontentandomi all’inizio della qualità delle letture che non era certo alta, ma l’importante era cominciare. Poi iniziavo a far capire che era necessario catalogare i libri per conoscerne la quantità e i proprietari e in prima classe l’ho fatto io, usando un semplice quadernone e disegnando delle tabelle. A inizio giornata, a ricreazione e a fine giornata, l’accesso ai libri era libero ma disciplinato da me; spesso poi sceglievo uno dei libri e leggevo io, suscitando l’orgoglio del proprietario che vedeva il suo libro scelto dalla maestra.
Dalla seconda in poi, la biblioteca di classe era gestita tutta dai bambini con la mia supervisione; intanto i libri aumentavano e miglioravano in qualità perché io, fin dalla prima, per le vacanze estive, suggerivo una serie di titoli di narrativa adatti a loro e ne assegnavo solo la lettura. Ognuno era libero di scegliere quale o quali libri acquistare tra quelli consigliati da me e dove farlo, e aveva unicamente il compito di leggere. Sono infatti sempre stata fortemente contraria ai libri per le vacanze, pieni di esercizi che riportano alla mente solo la parte faticosa dell’esperienza scolastica, senza di fatto portare ad alcun risultato, perché il più delle volte il libro viene completato in fretta e furia negli ultimi giorni di vacanza e magari con un bel po’ di aiuto. Per questo motivo non li ho mai fatti acquistare, preferendo invece, solo ed esclusivamente la lettura come piacere da regalarsi in vacanza. Al ritorno a scuola i libri erano aumentati e qualitativamente migliorati, spesso si trovavano più copie dello stesso libro ma questo l’ho ritenuto sempre un vantaggio. Oltre all’utilizzo in classe della biblioteca nei momenti della giornata già citati, dalla seconda in poi, ogni due settimane circa, si procedeva al prestito a casa, secondo un’organizzazione concordata. Due responsabili, che periodicamente cambiavano, avevano il compito di gestire la registrazione dei libri, il prestito a casa e la successiva restituzione e in più, la pulizia periodica dello scaffale e la sistemazione ordinata dei libri. Tutto questo, fino alla quinta. Posso dire che ci sono stati anni in cui gli scaffali non erano sufficienti, perché intanto i lettori crescevano in abilità e interesse per la lettura e quindi i libri aumentavano anche nel corso dell’anno.
Naturalmente, la prima ad essere coinvolta in questa abituale frequentazione dei libri ero io che leggevo anche i loro e soprattutto, portavo quotidianamente libri e albi illustrati a scuola che leggevo tutti i giorni. Sono convinta infatti, che più che con le parole e gli ammaestramenti, si educa con i comportamenti. I bambini agiscono molto per imitazione, specie degli adulti di riferimento. Non ha alcun senso dire a un bambino “Leggi, perché la lettura è importante” se poi noi non lo facciamo mai.
Questo vale per la famiglia così come per la scuola. Così, se per esempio si concorda in classe di lasciare un tempo per la lettura libera, come è successo di recente con il progetto di Teste fiorite e Roberta Favia “Lasciami leggere a scuola”, in quel tempo si fa solo quello, bambini e maestre. La coerenza dei comportamenti degli adulti è una delle prime cose che i bambini osservano. E se stiamo facendo un’attività comune, anche se ognuno per sé, in realtà stiamo condividendo; stiamo condividendo un’attività che serve a tutti noi per estraniarci un attimo dalla realtà e guadagnare un respiro lento, come la lettura sa fare. E proprio in quel momento, mentre stiamo vivendo insieme un momento di straniamento, la lettura ci unisce
Maria Teresa Andruetto, scrittrice argentina esperta di letteratura per l’infanzia, scrive così nel suo libro Per una letteratura senza aggettivi:
Tutto ciò che possiamo apprendere sulla lettura trova il suo fondamento in tre caratteristiche peculiari dell’infanzia: la capacità di fantasticare, di perdersi nella fantasia e ritornare “a casa” a piacimento, e lo spirito di esplorazione che porta a selezionare un percorso personale tra i libri, fino a incontrare quei testi che custodiscono per noi una verità visibile solo lì e non ripetibile.
Questa volta non vi ho presentato albi illustrati; e ce ne sono che parlano di lettura come potete vedere dalle foto. Ci sono anche libri di narrativa per bambini di 5^ e scuola media, come Batti il muro di Antonio Ferrara che vedete in foto. Perché la lettura appassiona e diverte, ma qualche volta addirittura salva la vita. Magari ve ne parlerò un’altra volta. Ho voluto trattare più approfonditamente questo tema che mi sta molto a cuore. Non volevo essere convincente, volevo essere soprattutto credibile e l’ho fatto raccontandovi la mia esperienza con e per la lettura, con e per i libri. Nessun intento didattico, nessuna pretesa di dispensare ricette vincenti. Forse non ce ne sono o forse sì. Ognuno può provare la sua, scommettendo che quella è la strada giusta. L’importante è condividere il traguardo.
Puoi leggere, leggere, leggere, che è la cosa più bella che si possa fare in gioventù: e piano piano ti sentirai arricchire dentro, sentirai formarsi dentro di te quell’esperienza speciale che è la cultura.
Pier Paolo Pasolini
Opere citate:
- Aidan Chambers, Il lettore infinito, Equilibri, Modena 2015Antonio Ferrara, Leggero leggerò, Interlinea, Novara 2021
- Maria Teresa Andruetto, Per una letteratura senza aggettivi, Equilibri, Modena 2015
- Annali della Pubblica Istruzione – Indicazioni Nazionali per il Curricolo della Scuola dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione, Roma 2012
Angela Malcangi
2 Comments
La lettura rafforza il carattere perché rinforza la cultura e quindi la conoscenza aiutandoti a vivere la vita senza indugi con maggiore sicurezza e serenità.
La lettura rafforza il carattere perché rinforza la cultura e quindi la conoscenza aiutandoti a vivere la vita senza indugi con maggiore sicurezza e serenità.