Il progetto “A danzar le storie! …mica vero che le storie si ascoltano solo con le orecchie”
(…) Al corpo ci si affida dunque per sfuggire alle maglie di un sistema di pensiero che è sempre più uno strumento di controllo e sempre meno uno strumento per interpretare il mondo. Al corpo, depositario di un’infanzia che resiste al tempo, si chiede di tracciare una linea di fuga dalla prigione del significato verso la radura della significanza, dove sia possibile revocare certezze e aprirsi all’ignoto.
A. Nanni, La danza contemporanea? Non ci si capisce niente
A danzar le storie! è un progetto nato dalla collaborazione di boaOnda e QuaLiBò, frutto della passione per la danza e per gli albi illustrati, e che rimanda al piacere e alla sfida di far interagire e dialogare molteplici linguaggi artistici. Una fascinazione illuminante e creativa che ha portato questo gruppo di lavoro, che si è creato sulla scia di questi interessi e che si è consolidato nel tempo, a riconoscere quel filo rosso che lega i libri per immagini alla danza contemporanea e di ricerca. Due linguaggi le cui grammatiche risuonano e possono potenziarsi reciprocamente, a patto di conoscerle e di poterle utilizzare al meglio entrambe. La danza e il racconto per immagini parlano al mondo dell’infanzia con la stessa, seppur differente, potenza e rispondono alla sua curiosità e apertura al mondo, moltiplicando possibilità ed orizzonti. Il linguaggio del corpo e quello degli albi illustrati (in molti casi) si rivelano refrattari ad una formalizzazione definita, ad una univocità di significato, costringendo chi fruisce ad avventurarsi su terreni incerti, oltre confini preconfezionati. In questo abbiamo riconosciuto le loro affinità con certe peculiarità tipiche dell’infanzia, nel valore pedagogico che orienta i bambini e le bambine verso un’esperienza, una messa in gioco, in cui il pensiero è sempre in movimento.
Il progetto comincia il suo viaggio nel 2015 ad opera di due associazioni, boaOnda e QuaLiBò, nelle persone di Francesca Giglio, Manuela Lops, Teresa Tota e Massimo Zenga. Si svolge per percorsi laboratoriali o singoli incontri nelle scuole pubbliche e private, così come nelle librerie, biblioteche e nei più diversi luoghi di aggregazione, ed è rivolto ad una fascia d’età che va tendenzialmente dai 3 ai 10 anni. Rappresenta per il nostro gruppo una ricerca continua che confluisce in un progetto di promozione della lettura, anche se più onestamente dovremmo dire che si tratta di un percorso di traduzione dei principi che guidano la Pedagogia del Movimento (i riferimenti teorici e metodologici attraversano tra gli altri il pensiero di Montessori, Pikler, Dewey, Piaget, Le Boulch) che include il lavoro con le immagini come possibilità che concorre a muoverci dentro e nello spazio, con tutto ciò che lo abita. Quello che ci sta a cuore è indubbiamente la relazione che si innesca, che si libera, fra le soggettività e la rappresentazione “dell’altro”, una relazione che non fa che raccontare dei legami col mondo, ed è un’immersione nel processo creativo che potenzia il processo educativo, le cui teorie di riferimento affondano radici nella psicocinetica, così come nelle metodologie nei processi artistico-compositivi della danza contemporanea.
A danzar le storie! suona come un arrembaggio, ed è di certo un omaggio a Gianni Rodari, non soltanto nel titolo che facilmente riconosciamo, ma nel riferimento ad un mondo di per sé imperfetto, laddove le storie, i corpi, il nostro essere e il nostro fare non rappresentano e non sono sempre frutto della perfezione di intenti e azioni, e l’errore può diventare un’occasione di apertura a nuove possibilità.
Scegliamo di adottare gli albi illustrati in quanto vere e proprie opere d’arte in cui le storie vengono raccontate con le immagini e in quanto le stesse immagini, accompagnate o meno dalle parole, hanno la capacità di accendere l’immaginazione, come una scintilla che accende i sensi, che ci ispira e ci trasporta all’interno di un certo canale estetico, contro l’anestetico imperversante. L’intenzione dunque è insistere sulla connessione immaginazione – sensi, mossi dalle storie e dalle immagini al fine di scatenare processi empatici e affettivi che nell’universo infantile evidentemente si esprimono attraverso il canale corporeo, diventando così motivazione al movimento, presenza attiva, potenza. Le bambine e i bambini si immergono nel gioco in cui quello che conta non è vincere o “fare bene”, ma sorprendersi nella libera esplorazione delle proprie capacità in un’infinità di possibilità. Nessuno dice cosa va fatto, l’invito infatti è a rispondere a delle domande, a cercare soluzioni e ad elaborare le proprie attraverso il canale espressivo corporeo.
L’albo illustrato, come un oggetto magico, è in questo caso lo strumento di accesso a questo gioco condiviso. La lettura e il racconto, anche attraverso le immagini, hanno la potenza di un rito di transizione in cui il silenzio, l’ascolto, gli sguardi e il pensiero accordano il gruppo e lo trasportano in un luogo altro, che la storia mette in comune. A quel punto si apre un cerchio che include, che mette insieme, in cui corpo e immaginazione possono liberarsi creativamente e ogni parola, se ben calibrata, si fa strumento essenziale per aprire altre strade da esplorare, o per sostenere e approfondire quelle già avviate. Ed è a quell’oggetto magico, in un intreccio continuo che si fa a volte più stretto, altre più largo, che si fa ritorno, per rimettere insieme sguardi e pensieri e riscoprirsi, prima di salutarsi, diversi/e. Le storie hanno da sempre fatto da sfondo ai racconti con il corpo (pensate alla produzione artistica del balletto) ma nelle intenzioni di A danzar le storie! abbiamo preferito allontanarci da un approccio puramente didascalico: non si tratta di una messa in scena della storia bensì di un’immersione in una dimensione ludico-cinetica, in cui il gioco motiva e attiva il corpo in movimento con una regola di gioco ben precisa.
Quello che può succedere è che la stanza in cui siamo inizi a trasformarsi così come accade alla camera di Max, il protagonista di “Nel paese dei mostri selvaggi” di Maurice Sendak edito da Adeplhi, e insieme si attraversi la foresta, il mare e una festosa ridda selvaggia. Ma poi la nostalgia di casa è inevitabile e quel tempo a ritroso, carico di stanchezza ed emozioni, è tempo ancora fertile e che chiede ascolto e cura.
Di tutto quello che può accadere all’interno degli incontri, è l’apertura al “possibile” che ci interessa e che riserva belle e reciproche sorprese. Di solito i bambini e le bambine sono abbastanza abituati/e a star attenti/e alla lettura, e non si aspettano affatto che venga dato loro il via libera “alle danze”. Ci capita spesso che si generi uno spiazzamento…possiamo muoverci?! Fatta la prima esperienza, e sapendo a cosa si va incontro, il livello di attenzione aumenta sia durante l’incontro che in quelli successivi, cosa che lascia spesso di stucco gli/le insegnanti delle scuole coinvolte nei progetti, dalle cui reazioni noi impariamo tanto e sulle quali bisognerebbe riflettere molto. Tra i momenti più interessanti e sorprendenti gli incontri con i genitori, invitati a prendere parte al gioco, rimangono forse i più magici: entrano col fare di chi si aspetta una lettura animata a cui prendere parte…il più delle volte non immaginano quello che accadrà. Succede di sfidare mamme e papà, ma anche nonne e zie, a fare capitomboli insieme ai bambini e alle bambine, leggendo nei loro occhi l’equivalente di un “Ma manco se mi paghi!”, per poi, dopo abili manovre di persuasione, ritrovarseli a ridere beatamente, a rotolare e saltare aprendo squarci di infanzia ormai lontana. Il gusto della condivisione è visibile sui loro volti e in tutto il corpo. Mamme coi tacchi pentitissime della scelta (non sappiamo se per l’abbigliamento o per non aver coinvolto i papà al posto loro!), la nonna sprint con le lacrime agli occhi felice di vedere il nipotino divertirsi e di farlo con lei, papà tutto d’un pezzo fatti a pezzettini, e così via. Trovare poi una famigliola che per intero cerca di “allungarsi” il più possibile partecipando con tutti gli arti a disposizione agli “Uomini Più” di Giovannino Perdigiorno, beh non è cosa di tutti giorni! Certo, non è sempre tutto rose e fiori, perché lì nell’angolino c’è Paolo che tiene per mano sua mamma che imbarazzata non sa proprio cosa fare. Il corpo bisticcia con l’idea di esporsi, e a qualsiasi età ha bisogno di empatia, di tutta la delicatezza dello sguardo per essere accolto così com’è, per immergersi senza timore nella sua possibile libera espressione. Qui entra in ballo una competenza specifica che ci appartiene: la conoscenza di “cosa può un corpo”. Una volta un bambino in una scuola dell’infanzia, a fine laboratorio, mentre si rimetteva a posto il materiale, si è avvicinato e dopo aver osservato un po’, ha chiesto: maestra ma tu cosa insegni? Bella domanda.
boaOnda e QuaLiBò – Visioni di (p)Arte, lavorano sul territorio per la promozione dell’arte della danza e della cultura del movimento. Ci accomuna una lunga esperienza (lunga più di 20 anni) nel campo formativo della danza, a seguito di una formazione individuale e diversificata, anche in ambito pedagogico e terapeutico a mediazione artistica. Il nostro percorso artistico ha attraversato, spesso in maniera trasversale, i versanti interpretativi, autoriali, così come quelli organizzativi (l’ideazione e l’organizzazione del festival Visioni di (P)arte e KIDanza – rassegna di danza per un giovane pubblico, sostenuti dal Teatro Pubblico Pugliese, sono le esperienze più significative) nell’ambito della danza contemporanea, ovvero quel campo di pratica e riflessione artistica che fa della corporeità uno strumento di indagine conoscitiva, di espressione e comunicazione dell’umano. La sedimentazione di queste esperienze e professionalità nel tempo ci ha portato ad approfondire l’intreccio fra danza e educazione, in una continua ricerca all’interno dell’ampio contenitore della Pedagogia del Corpo, soprattutto attraverso la formazione in Pedagogia del Movimento (Progetto La danza va a scuola), percorso prezioso che ha rivelato ancora meglio il valore dell’arte come strumento educativo. Infatti un percorso che prenda vita dal corpo si fa educativo quando quest’ultimo viene inteso non come strumento/oggetto, bensì come presenza al mondo ed espressione della soggettività, e luogo attraverso il quale avviene in primis la relazione. Il corpo è ciò di cui tutti/e disponiamo, è lo spazio democratico per eccellenza, è il primo e principale canale di comunicazione e di scoperta di noi stessi/e, dell’altro e del mondo. A partire dal corpo come luogo degli affetti, di espressione di sé, in cui si relazionano limite e risorsa, si può incontrare sé stessi/e aldilà delle strumentalizzazioni che spesso intervengono: quando non è contenuto, generando frustrazione e sofferenza, o ammaestrato finendo per soffocare le soggettività. Affinare la capacità di leggerne le istanze per renderlo pienamente partecipe, nel suo valore intrinseco e generativo di senso, è oggetto di studio continuo e di applicazione nel nostro lavoro, indirizzato prioritariamente verso il mondo della scuola, in quanto principale spazio di formazione. Un’integrazione più organica del valore dell’arte e della corporeità nell’apprendimento, a partire dai primissimi anni e per tutti gli ordini e gradi scolastici, favorirebbe un processo di crescita incentrato sulla motivazione, il piacere, sulla capacità di stare in relazione, e sul senso di autostima e autonomia. Proporre percorsi di Pedagogia del Movimento all’interno della scuola è l’obiettivo principale del nostro lavoro, rivolto necessariamente a tutte le soggettività.
La “domanda di movimento” rimane al centro dell’azione pedagogica, in cui noi poniamo una “questione” alla quale chiediamo di trovare risposte personali, tanto quanto personale può essere un gesto, una postura, l’approccio a qualsiasi richiesta di movimento del corpo, all’interno di un linguaggio universale. Noi lanciamo. Si può cogliere ma anche rifiutarsi di cogliere, o anche divergere dalla proposta e rilanciare a noi, che evidentemente “dobbiamo” rimanere in ascolto, raccogliere e rielaborare le istanze. È qui che entra in ballo la nostra competenza specifica all’interno di una certa spontaneità di movimento: infatti questa sfida avviene attraverso il corpo, il suo movimento, le sue soluzioni, la sua sapienza. Conoscere “cosa può un corpo” è requisito fondamentale per chi si avvicina a questo particolare campo d’azione, laddove si richiede un dialogo approfondito e praticamente quasi “alla pari”. Non è un dialogo pieno di parole ma pieno di corpo, dinamico, anche a livello spaziale. Il corpo rivela e lo fa in maniera molto più potente delle parole, talvolta impertinente o persino pericolosa. Alla Casa delle Bambine e dei Bambini del Comune di Bari abbiamo avuto la possibilità di fare degli incontri con un gruppo, sempre diverso, di bambini e bambine provenienti dal C.a.r.a. (Centro di Accoglienza per Richiedenti Asilo). Per superare il gap linguistico abbiamo deciso di evitare di usare la parola, concentrandoci piuttosto sul corpo e sul suono, partendo dalla lettura di un albo pop up che avesse solo forme, colori, volumi e ritmo, ovvero …e un Punto Rosso di David A. Carter, che propone un’esperienza visiva surreale ed immaginifica, un linguaggio aperto ed universale, traslabile sul piano del suono e del movimento. E’ stata sorprendente la capacità di creare legame, di rompere i timori reciproci, di conquistare la curiosità e di alimentare anche il nostro entusiasmo. Quell’oggetto è stata la porticina magica per entrare in uno spazio in cui capirsi su un piano differente dal solito.
È qui che troviamo una forte risonanza con la potenza delle immagini, ed è anche questo che ci affascina degli albi illustrati: sono storie per immagini, non temi. La “lettura” del corpo racconta così come i/le bambini/e, che con i loro corpi raccontano storie, e non sono categorie. Le storie non sono sempre o del tutto chiare, i segni spesso confondono, sono portatori di ambiguità. Stare nell’ambiguità è complicato. Le storie, le risposte, le soluzioni non sono sempre lineari, chiare. Anzi quasi mai. È lì che dobbiamo stare, cercare e ricercare, ascoltare, osservare, anche se non sempre potrà risultare immediatamente comprensibile. Del resto è una dinamica tipica del processo creativo procedere ammantato del suo mistero. Il valore dell’ambiguità portato dal corpo, che racconta di noi volenti o nolenti, va tutelato perché profondamente umano e, nel suo essere sovente imperscrutabile, invia segnali che mettono in moto una possibilità di risvegliare, spinta ad attraversare laddove conta il processo più di ogni meta. Dare voce e valore, potenziare la creatività in ambito educativo rimane un punto fermo (e profondamente inquieto) del processo di formazione delle soggettività.
E mai come oggi, avremmo bisogno di ritrovare il nostro corpo fra gli altri, di ritrovare segni legittimamente umani, di riprendere il valore della presenza con tutto il suo portato imprevedibile ma necessario, di ritrovare la relazione oltre le paure.
boaOnda e QuaLiBò
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boaOnda. Movimento Danza