In questa nuova puntata Parliamo di tecnologia educazione, arte, paure e speranze per il futuro e lo facciamo con chi l’arte e la tecnologia la mastica da più di 20 anni.
Ho chiesto a Vincenzo Beschi formatore e artista multimediale per ragazzi qual è il suo rapporto con le nuove tecnologie come educatore e come artista che esplora nuovi linguaggi!
Buon Ascolto!
TECNOLOGIA… che cosa è la tecnologia? senza ricorrere alla definizione del
vocabolario o dell’enciclopedia Treccani, mi piace come la definisce Marco Paolini nel suo monologo: Technology and me, il ritardo cronico della cultura sulla tecnologia, dice:
“tutto ciò che ho trovato già esistente è perfettamente naturale, tutto ciò che è tecnologico è tutto ciò che viene dopo”.
Pensiamo ad un bambino di oggi che vive con naturalezza l’esistenza del computer, dell’iPad, dello smartphone, di internet. Per lui fanno parte dell’habitat per me sono state conquiste fatte con un continuo e a volte faticoso aggiornamento. Ma sempre esiste un prima e un dopo, anche per le nuove generazioni ci sarà un dopo e quindi una tecnologia nuova e così la soglia della naturalezza si sposta ogni volta, generazione dopo generazione.
Anche io ho vissuto con naturalezza la mia tecnologia, che era la tecnologia che usava mio padre.
Ricordo con piacere le emozioni che provavo quando da piccolo assistevo alle proiezioni casalinghe delle pellicole nelle quali si vedevano momenti di vita familiare che mio papà riprendeva con una piccola cinepresa 8 millimetri . E ricordo come la mia attenzione ad un tratto si soffermava su quelle macchie informali un po’ pelose che a volte apparivano sullo schermo, provocate da piccoli ciuffetti di polvere che si introducevano tra la pellicola e il fascio di luce del proiettore. Sembravano piccoli animaletti nati proprio dalla magia della proiezione che si muovevano a volte a scatti a volte lentamente fino a scomparire dopo aver attraversato tutto lo schermo. Oggi questa esperienza è scomparsa se non come filtro da aggiungere alle riprese per dargli quel tocco di “passato”. E poi il suono, il suono di quel piccolo bel proiettore Bolex Paillard che ora è in bella mostra nel mio studio. Suono che sembrava accompagnare perfettamente i movimenti di quelle macchie.
Credo che la mia passione per la tecnologia sia nata proprio in quelle proiezioni. Gli studi al conservatorio affiancati a quelli dell’istituto d’arte hanno dato concretezza al desiderio di scoprire come la parte più invisibile dell’inquadratura, i suoni, potessero entrare in relazione con la parte visibile, le immagini.
Non c’è, oggi, definizione soddisfacente per indicare questa significativa mutazione del paesaggio comunicativo sorto intorno a noi e dentro di noi, indotta dalla presenza sempre più massiccia della tecnologia e dei suoi variegati linguaggi. Certo è che l’importanza di tale fenomeno , piaccia o no, investe tutti e entra con grande naturalezza ma non sempre con consapevolezza nella quotidianità delle relazioni.
Pensiamo ad esempio, come oggi, buona parte delle nostre giornate scorre davanti ad una superficie luminosa, ad uno schermo portatile che teniamo con cura tra le mani e illumina di luce artificiale il nostro viso.
Questo schermo, non sta cambiando soltanto le nostre ore ma anche la realtà, che sempre più osserviamo (e interpretiamo) attraverso questo filtro.
Con lo schermo dialoghiamo, ci emozioniamo, fotografiamo etc. Fissiamo schermi per lavoro, per lo studio, per il gioco, per comunicare, per divertimento, spesso lo schermo ci segue nel letto…e la sua luce ci accompagna prima del sonno.
Nel corso degli anni la tecnologia ha continuamente trasformato l’essenza stessa dello
schermo modificandone continuamente anche il nostro rapporto: da elemento di condivisione collettiva (lo schermo cinematografico, lo schermo televisivo…) ad oggetto sempre più legato alla sfera dell’intimità.
Uno schermo sempre più vicino ai nostri occhi e quindi sempre più esperienza personale dove non solo il senso della vista è necessario ma anche il tatto diventa indispensabile.
A questo proposito interessante è la lettura del libro “Lo schermo empatico” (V.Gallese, M.Guerra, Lo schermo empatico, Raffaello Cortina Editore, Milano 2015):
Scrivono gli autori: Oggi l’interattività con i dispositivi portatili digitali va ben oltre un semplice premere i tasti: è sempre più legata al contatto tattile con l’immagine, attraverso il costante contatto con lo schermo. L’immagine che guardiamo diviene per la prima volta anche la traduzione di un nostro atto motorio intenzionale, come quando ingrandiamo l’immagine divaricando le dita che strisciano sullo schermo dello smartphone. (…)
L’immagine non evoca soltanto il rispecchiamento di se stessa, ma chiede di essere l’oggetto di una effettiva relazione fisica, quasi carnale con l’osservatore.
Da uno schermo passivo, ricordo la voce di mia mamma che diceva:
“non mettere le dita sullo schermo della televisione che rimango le impronte”, siamo passati ad uno schermo attivo che richiede partecipazione, che portiamo sempre appresso e che ci chiede di essere toccato. Solo qualche anno fa, pensiamo alla televisione a tubo catodico, era un’impresa spostare da un posto all’altro uno schermo. Una volta collocato in uno spazio lì ci rimaneva.
La tecnologia, lo sperimentiamo soprattutto in questo e nel precedente periodo di “lockdown”, è di grande aiuto nel tenere vive le connessioni tra le persone, nel superare i limiti dati dalle distanze.
Vengono un poco a mancare tutte le sensazioni date dai 5 sensi che in una relazione con la presenza fisica delle persone sono fondamentali. Davanti e dentro lo schermo diventiamo piatti, bidimensionali. Il nostro corpo è fatto a pezzi, ne vediamo sempre solo una parte come se il resto non esistesse.
Riflettiamo una luce artificiale. La vista è monodirezionale e l’udito è sottoposto a un suono spesso artefatto da dispositivi di registrazione e riproduzione poco affidabili. Manca l’odore, il profumo delle persone, degli spazi. Il tatto si limita a scorrere sul freddo schermo.
C’è anche il rischio della “saturazione” di stimoli prodotti dal sistema mediatico con un
allontanamento sempre più del corpo al contatto diretto con il mondo.
La Rete è e rimane comunque un medium ricchissimo di potenzialità. La rete permette di costruire ponti tra realtà lontane , tra mondo virtuale e mondo reale. Anche il mondo dell’arte ne usufruisce positivamente. L’arte si connette con il mondo con la semplicità di un “clic”.
Per un artista la rete diventa un laboratorio di sperimentazione, uno spazio di confronto dove spesso mostra le sue opere ad un pubblico vastissimo, differente da quello che visita una galleria d’arte. E’ un po’ come andare a pesca: lancia l’amo e attende. E’ “L’arte fuori di sé”.
E’ anche un gioco. Interessante vedere le reazioni di chi sta dall’altra parte. Credo che la direzione in cui mi muovo sia dettata dalla curiosità di conoscere nuovi strumenti per esplorare in maniera diversa i linguaggi conosciuti senza però rinunciare anche alla ricerca di nuovi linguaggi.
Sono convinto che con la velocità con la quale la tecnologia si sta evolvendo in maniera
esponenziale si supereranno anche le più ardite rappresentazioni di sogni e idee.
Comprendere la nostra attuale esperienza degli schermi può aiutarci a comprendere come concepiamo la nostra attuale esperienza del vedere.
(Mauro Carbone, Filosofia-schermi, dal cinema alla rivoluzione digitale, Raffaello Cortina
editore, Milano 2016)
«Tutto è pervaso di bellezza, basta saperla vedere.
Ci sono cose che ce l’hanno tutta fuori e intorno, altre la nascondono dentro, in altre occasioni è diversamente vagante. E’ importante poterla cogliere, ma è altrettanto essenziale poterla produrre.
Ecco l’invito che si dà quando si dà un esercizio: produrre bellezza.
Si danno delle indicazioni e degli stimoli.
Ognuno la deve trovare in se stesso per poterla produrre.
E’ stupenda questa lotta e ha qualcosa di mitico: accresce e appaga».
Con le parole di Riccardo Dalisi chiedo a Vincenzo Beschi cosa secondo lei rende un laboratorio un buon laboratorio
Di bambine e bambini, ne ho incontrati davvero tanti in 40 anni di attività nel mondo dell’educazione. Da una parte, per loro e nostra fortuna, i bambini e le bambine di ieri e di oggi sono simili. Li accomuna uno sguardo luminoso e curioso. Un approccio leggero e sincero alla vita. Dall’altra è cambiata la percezione del tempo e la quantità di stimoli. La fretta, oggi, caratterizza spesso il desiderio di vedere le proprie idee concretizzarsi. Se il saper attendere diventata faticoso così come il soffermarsi sui dettagli i bambini di oggi hanno in compenso una capacità naturale di sfruttare le tecnologie per dare forma ai propri pensieri.
Ecco un buon laboratorio deve condurre all’interno del tempo previsto, senza fretta, bambine e bambini, ragazze e ragazzi, in esperienze mirate dove possano esplorare e scoprire nuovi significati, nuove “bellezze” e nuovi colori. In pratica, un esercizio di regia dello sguardo. Dove uno smartphone, piuttosto che una webcam, attraverso ad esempio, lo spiazzamento del punto di vista, possono diventare un potenziamento dei sensi, una protesi fantastica per vedere diversamente e per reinventare la realtà. Un buon laboratorio di produzione audiovisiva con bambini, ragazzi e insegnanti deve permettere di comprendere le “regole del gioco”. Attraverso un’esperienza ludica e coinvolgente che lascia ampio spazio alla creatività e all’immaginazione, si decontestualizza l’oggetto tecnologico svuotandolo dei soliti contenuti così fa farlo diventare un territorio nuovo da esplorare, un macchinario che possiamo toccare, smontare, riempire di suoni e immagini nuove. Con gli occhi, le mani, le orecchie e il cuore possiamo reinventare lo spazio ed il tempo.
Un buon laboratorio è quando vedi bambine e bambini emozionarsi, divertirsi stupirsi, eccitarsi e gioire di fronte al risultato di una loro ricerca/azione espressiva che ha lasciato
affiorare qualcosa che solitamente è nascosto per fare emergere segni, trame, visioni di un mondo tutto da inventare e da scoprire.
Viviamo in un un’epoca in cui gli stimoli visivi sono infiniti, e così spesso sono infiniti i dubbi che ci attanagliano sull’uso che dovremmo farne. Come possiamo non esserne sopraffatti e quindi essere un aiuto o anche una guida per i giovani fruitori, tracciare un sentiero, trovare una chiave di lettura che renda l’immersione tecnologica che stiamo vivendo un virtuoso esercizio di stile e che possa perciò accendere la creatività.
I nostri corpi avvolti nella multimedialità interattiva vivono immersi in essa come in una piscina. Per comprendere meglio questa “immersione” attuale è importante trovare le chiavi di lettura dell’impatto della tecnologia sul linguaggio e sui processi di apprendimento e di conseguenza sul nostro modo di vivere, percepire e pensare. Esplorare nuovi modi di usare la tecnologia, una tecnologia amica, che attraverso pratiche digitali possa mettere l’accento sulla creatività per attivare nuove connessioni.
Nella introduzione al libro “Il bambino e gli schermi” Paolo Ferri scrive:
“dalla ricerca francese dell’Académie des Sciences emerge chiaramente come lo smartphone è una “protesi” che apre ai nostri figli molte opportunità anche nel campo dell’apprendimento. Lo smartphone non è solo uno strumento di fruizione delle informazioni ma è strumento di socialità, approfondimento e produzione di contenuti audio-video. Perché gli insegnanti non permettono ai loro studenti di usarlo in questo modo in classe? “
(J.Bach, O.Houndé, P. Léna, S. Tisseron, Accadémie des Sciences, Il bambino e gli schermi. Edizione italiana a cura di P.Ferri e S.Moriggi, Edizioni Guerini e associati, Milano 2016)
Utilizzare ciò che ormai è a disposizione di tutti per produrre immagini e suoni è sicuramente un grande opportunità. Per la prima volta l’uomo ha a portata di mano, ogni giorno e in qualsiasi momento, un oggetto che è allo stesso tempo un registratore e un riproduttore di immagini e di suoni.
In tutti questi anni di attività laboratoriale ho sempre prediletto attività dove la tecnologia permettesse alla manualità di essere comunque ancora protagonista.
Sicuramente l’uso dei dispositivi con i quali i ragazzi si confrontano tutti i giorni favorisce moltissimo la partecipazione e il coinvolgimento soprattutto se l’attività avviene in ambito socio/educativo. La possibilità di utilizzare questi strumenti per conoscere il territorio (luoghi, ambienti, tragitti, architettura ma anche le persone) e per rappresentarlo in maniera creativa in uno schermo collettivo è scelta strategica per far sì che ogni partecipante si senta coinvolto in maniera responsabile nel progetto.
Inoltre, utilizzando smartphone e tablet gli adolescenti sono particolarmente motivati in quanto sono più informati di noi adulti. Proprio per questo durante l’esperienza è importante cogliere i loro suggerimenti e capire se possono essere utili per scoprire nuovi percorsi che si possono intraprendere.
Punti di forza di queste esperienze sono:
- il superamento dell’individualità che caratterizza l’uso di questi dispositivi
- la consapevolezza di poterli usare per fini espressivi
- l’attenzione a quanto si cattura e memorizza
- la condivisione che richiede la disponibilità nel mettere il proprio smartphone a
- disposizione di tutti i partecipanti
- l’individuazione di regole e dinamiche che permettano ai vari dispositivi di
- accordarsi tra di loro al fine di ottenere un’unica sequenza video
- la ricerca di soluzioni nuove sfruttando le tante opportunità offerte da questi strumenti.
Tanti sono i laboratori che si possono sviluppare utilizzando gli strumenti tecnologici legati alla multimedialità molti esempi si possono trovare sul sito dell’associazione Avisco di cui
faccio parte o sul sito della fondazione Pinac per la quale ho avviato anni fa il laboratorio “pennelli elettronici” o sul mio sito www.vinzbeschi.org.
L’attività creativa/espressiva della ricerca “pennelli elettronici” della PinAC si affianca ad una serie di esperienze all’interno dell’Avisco di Brescia, associazione culturale e professionale che ha lo scopo di promuovere attività per la ricerca, la formazione, l’aggiornamento sui linguaggi audiovisivi. Da oltre trent’anni, Avisco é impegnata a spronare bambini e ragazzi a saper vedere, ad utilizzare le cose (il mondo), rappresentandole con i linguaggi dell’immediatezza percettiva, come l’immagine ed il suono, cercando strade per raccontare pensieri, esperienze e desideri.
Sicuramente uno dei percorsi che prediligo è quello legato al mondo dell’arte. Usare la tecnologia per entrare nell’arte, conoscerla, smontarla, viverla!
Non è semplice oggi coinvolgere i bambini in percorsi legati all’arte. Proprio per la difficoltà di definire l’arte oggi. Mi piace pensare alla parola “arte” come molto vicina alla parola “arto”. Arto come mano; arto come occhio, orecchio, arto come telecamera, smartphone. Io credo che partecipare insieme ad un gruppo di bambini, bambine, ragazzi e ragazze ad una esperienza nella quale insieme ci si accosta alle cose, ai materiali, agli oggetti che ci circondano, in un modo diverso, inusuale, sia un fare “arte” che trova la sua esistenza non tanto nel risultato ottenuto quanto nel fare collettivo.
Non è superfluo ribadire che la possibilità di progettare, realizzare, scoprire, ripetere o reinventare – a scuola come in altri ambiti educativi – esperienze espressive con materiali
audiovisivi, deve indubbiamente proporsi come un fatto piacevole, interessante, suscitatore di entusiasmo, interesse, passione, curiosità e voglia di sperimentare il nuovo, sia per alunni che per insegnanti.
Uno dei laboratori più efficaci in ambito socio-educativo è la produzione di film d’animazione. Progettare un film d’animazione assume particolare valore in quanto si realizza attraverso un organizzato lavoro di gruppo dove tutti si sentono coinvolti e responsabili della riuscita del prodotto: consentendo la partecipazione a vari livelli e richiedendo differenti abilità non crea “esclusi” od “emarginati” nel processo produttivo anzi, favorisce la valorizzazione delle singole competenze. All’interno del gruppo, della classe, si lavora come in un laboratorio artigianale dove i compiti sono suddivisi ma si è tutti partecipi dell’intero processo produttivo. La formula ideale sarebbe la variazione dei compiti e quindi dei ruoli nel corso della attività in modo da consentire, parallelamente ad una buona organizzazione, la plurifunzionalità delle parti. Attitudini e abilità sono messe continuamente in gioco e si sviluppano e differenziano man mano l’esperienza procede.
Con la tecnica del cinema d’animazione ogni immagine o situazione, anche le più assurde e irreali possono prendere forma: nessun limite è dato alla fantasia. L’attesa inoltre aumenta la sorpresa, la meraviglia di vedere personaggi, oggetti, prendere vita per la prima volta sullo schermo
Un altro aspetto significativo della produzione di un film d’animazione è la necessità di fare ricorso a differenti tipi di manualità. Nell’era dei computer dove l’unica manualità è quella della digitazione, dare la possibilità di operare con materiali di vario genere, costruire i personaggi e gli sfondi, usare le mani per muovere i vari elementi, organizzare il lavoro al banco di animazione per ottenere un prodotto che trasforma una serie di immagini statiche in immagini in movimento è certamente emozionante e gratificante per tutti coloro che hanno collaborato alla realizzazione.
Siamo arrivati alla fine di questa lunga chiacchierata con Vincenzo Beschi, penso che quando schiacceremo il pulsante stop avremo qualche consapevolezza in più e perché no una gran voglia di fare, sperimentare, giocare con questi nuovi linguaggi.
Faccio quindi l’ultima domanda che credo racchiuda il senso di tutto questo ragionamento intorno alla tecnologia, all’arte e all’educazione. Quanto è importante educare/allenare gli sguardi dei bambini e bambine e ragazze e ragazzi?
«La democrazia dipende dalla partecipazione attiva dei cittadini alla vita della comunità e
l’alfabetizzazione mediatica fornisce le competenze di cui hanno bisogno per dare un senso al flusso quotidiano di informazioni diffuse tramite le nuove tecnologie di comunicazione»
così è scritto nella Raccomandazione della Commissione Europea sull’alfabetizzazione mediatica nell’ambiente digitale.
Il linguaggio audiovisivo è un sistema di comunicazione complesso nel quale siamo inevitabilmente coinvolti. Se non ne conosciamo il funzionamento diventa difficile separare la realtà dalla sua rappresentazione e ci illudiamo di fare esperienza del mondo quando invece siamo semplicemente il target di un flusso piacevole e violento di informazioni che si rigenerano senza sosta annullandosi l’una nell’altra. Senza concederci il tempo della
riflessione.
Scrive Teresa Grange (Professoressa Ordinaria di Pedagogia Sperimentale, Università
della Valle d’Aosta )in: Cura pedagogica ed educazione nell’era digitale
Coloro che ricoprono oggi un ruolo educativo dovrebbero agevolare l’appropriazione da
parte dei giovani del funzionamento di un universo virtuale che, tuttavia, essi stessi non
padroneggiano; la situazione sembra paradossale ma risulta tipica delle società in cui i
legami intergenerazionali di trasmissione culturale si invertono, in una sorta di
“socializzazione ascendente”: attualmente, sono spesso i figli a insegnare ai genitori come
utilizzare la rete e le apparecchiature informatiche, e gli adulti appaiono frequentemente
disorientati e insicuri rispetto ai giovani, per i quali i nuovi media costituiscono un aspetto
ovvio e pervasivo della vita quotidiana.
Una riflessione sullo specifico pedagogico dell’educazione nell’era digitale può contribuire
a delineare un orizzonte di senso per un cammino di crescita autenticamente generativo in
cui adulti e adolescenti possano, nei rispettivi ruoli, condividere e promuovere consapevolezza, progettualità e creatività per formare cittadini consapevoli, responsabili,
impegnati in una pluralità integrata di contesti di vita.
Coinvolgere i bambini in esperienze “audio e visive”, vissute con i sensi attraverso l’occhio e l’orecchio di una telecamera, di una webcam, di uno smartphone, vuol dire tenere in considerazione l’influenza che il mondo audio-visivo gioca sulla formazione dell’identità e sullo sviluppo di capacità creative ed estetiche e mettere in atto quelle strategie personali che permettano di interagire con gli altri e con la realtà che li circonda.
Assaporare il profumo del tempo indugiando con gli occhi e le orecchie su ciò che ci è intorno.
La tecnologia ci può aiutare in questo. Ci permette di avvicinarci alle cose in un modo del tutto nuovo, di scoprire aspetti che i nostri occhi e le nostre orecchie non possono vedere e sentire. Per questo la tecnologia ci può esserci amica.
Per i prossimi #Appuntamenti Mammachilegge.it per seguire il lavoro di Vincenzo Beschi vinzbeschi.org